Ciao, sono Sara, oggi c’è la luna piena e questa è una mini-puntata di afilorefe, in cui prendo in prestito parole che non sono mie per provare a dire come mi sento.
La primavera è arrivata e ha portato con sé un sacco di cose: un buon numero di mattinate piovose, una serata a teatro, il profumo del glicine in giardino, un mucchietto di poesie dolorose nella scuola del carcere, un nuovo corso di formazione.
Il tempo libero è ridotto all’osso; quando provo a scrivere, mi accorgo che le energie scarseggiano: ho tanto bisogno di lunghe pause e di rifugiarmi nei silenzi.
Attorno a questa stagione esiste una retorica particolare. Ma per il momento io non ho voglia di chiacchiere, non desidero lunghe camminate in montagna; non mi sento creativa, ma sola:
Aprile è il mese più crudele: genera
Lillà dalla terra morta, mescola
Ricordi e desideri, scuote
Le radici assopite con la pioggia primaverile.
L’inverno ci tenne caldi, coprendo
La terra di neve obliosa, alimentando
Un filo di vita con tuberi secchi1.
Sono ancora una radice assopita.
Tornerà un tempo che è già stato, e non è detto che io e il mondo sapremo subito incontrarci.
Quando giunse primavera attraversai di nuovo il fiume
risalendo al mondo sei piani e mezzo
e un giorno all’angolo della Ottava di fronte a Wanamakers
che era bruciato mentre stavo a Brooklyn –
dove prendevo il bus per andare al lavoro ogni giorno
una mattina l’autista rallentò davanti alla fermata
(ero in ritardo pioveva e la mia giacca era fradicia)
poi accelerò senza fermarsi non appena vide la mia faccia2.
Mi risveglierò senza fretta.
Dove?
Non è nei vasti campi o nei grandi giardini che vedo giungere la primavera. È nei rari alberi di una piccola piazza della città. Lì il verde spicca come un dono ed è allegro come una dolce tristezza. Amo queste piazzette solitarie, intercalate fra vie di scarso traffico […] Sono radure inutili, cose in attesa, tra tumulti lontani3.
E chissà quante domande porterà con sé questo risveglio, come nell’albo illustrato Un sogno per piccolo orso di Michael Rosen, che così consiglia Igiaba Scego su Internazionale:
Piccolo Orso vaga per il bosco, alla ricerca di risposte. Vuole sapere cosa succederà quando il grande freddo lo costringerà a dormire. Sognerà? E se finisse tutti i sogni? Incontra uno scoiattolo, un coniglio e un lupo. Ognuno di questi compari gli donerà un sogno, ma anche una via per tirarsi fuori dai guai. I sogni degli altri diventano i suoi, lo aiutano a crescere, a capire il suo ruolo nel mondo, la sua relazione con la natura. L’albo, illustrato magistralmente da Daniel Egnéus con disegni rotondi ed evocativi, insegna a non perdersi in questa vita. E ad avere speranza nella primavera.
Lasciare traccia: piccolo laboratorio di autonarrazione
“Un mattino, al risveglio da sogni inquieti, Gregor Samsa si trovò trasformato in un enorme insetto”. Rileggi per tre volte l’incipit del capolavoro di Franz Kafka e poi immagina la tua metamorfosi primaverile.
Scrivi all’ombra di un albero in fiore. Fermarti non appena cadono cinque petali sul foglio.
Ci ritroviamo alla fine dei silenzi,
Sara
T.S. Eliot, La sepoltura dei morti.
Audre Lorde, Segnali alla rabbia.
Fernando Pessoa, Il libro dell'inquietudine.
Straordinario itinerario percorso in punta di penna e parola.
Introspettivo senza per questo violare alcuna Anima segreta.
Allegoria come fosse un gioco la cui unica regola sia la percezione.
Afilorefe dunque quale nuova terra promessa per ogni Essenza alla ricerca del proprio Sè.
Grazie Sara per questa traccia d'incontro, là dove si congiungeranno i silenzi. Intanto recupero "Un sogno per piccolo orso".