Eccoci qui: questa è la prima puntata di Hutong, la micro-newsletter di afilorefe in cui si parla di Cina.
Il saggio greco Misone invitava a indagare le parole a partire dalle cose e non le cose a partire delle parole. Oggi facciamo esattamente il contrario e cominciamo dal nome di questo progetto.
In caratteri cinesi: 胡同.
Sembra che la parola “Hutong” derivi dal mongolo “gudum”: “pozzo”.
Forse perché era proprio attorno ai pozzi che la gente viveva, costruendo luoghi e comunità; era attorno ai pozzi che le città sorgevano.
In effetti gli hutong sono in un certo senso la prima traccia urbanistica di Beijing (e sicuramente la più peculiare): vicoli che, insieme alle siheyuan – le tradizionali abitazioni a corte – andavano a formare gli innumerevoli quartieri a scacchiera.
Gli hutong hanno assunto nel corso dei secoli nomi interessanti, a tratti poetici, che ancora oggi svelano un pezzettino della loro storia o di quello che era importante per chi ci viveva. Un assaggio?
Yangshi Hutong: l’Hutong del mercato delle pecore
Liushu Hutong: l’Hutong dell’albero del salice
Xiqing Hutong: l’Hutong felice
Jiudaowan Hutong: l’Hutong dalle nove curve
C’è una lunga tradizione di studi sui nomi degli hutong.
La raccolta più famosa è probabilmente quella di Zhang Jue (1485-1566), che pare fosse un uomo attento e curioso:
Ogni volta che mi imbattevo nella menzione di una strada o di un vicolo in un libro, ne annotavo il nome; ogni volta che sentivo menzionare un hutong di Pechino nei discorsi della gente, lo registravo sempre.1
Gli hutong di Beijing nacquero durante il regno della dinastia mongola degli Yuan (1271-1368), di cui fu capostipite il celeberrimo Kublai Khan, che riunificò la Cina e creò un impero immenso.
A dire il vero, Beijing stessa fu fondata dagli Yuan.
Quando nacque si chiamava Dadu, 大都: “la grande capitale”.
Gli imperatori decisero di dare vita a una città perfetta, ideale, che somigliasse al cielo, sulla base di stringenti regole di pianificazione urbanistica: cerchi concentrici, suddivisi in quartieri a griglia2.
Anche nei secoli successivi, Pechino mantenne quest’aspetto: al centro, la Città Proibita, circondata dalla Città Interna e dalla Città Esterna.
Gli abitanti di più alta estrazione sociale vivevano vicino al centro, in dimore eleganti e spaziose, delimitate da hutong ariosi e ordinati. Più lontano, le persone comuni, il popolo, in case piccole e spoglie, collegate tra loro da hutong via via più stretti e disordinati man mano che si procedeva verso l’esterno.
All’inizio del Novecento, con la fine dell’età imperiale e il periodo di disordini che ne seguì, Beijing entrò in una fase di declino.
Gli hutong crebbero in modo sregolato e divennero il rifugio di un sempre maggior numero di famiglie, che spesso vivevano ammassate in una stessa abitazione.
A partire dal 1949, con la nascita della Repubblica Popolare Cinese, gli hutong iniziarono a scomparire, per lasciare spazio alle ampie strade della Beijing moderna: una città industriale destinata ad accogliere milioni di lavoratori.
Oggi, gli antichi quartieri sono stati in piccola parte dichiarati “protetti” e in gran parte rischiano di scomparire o di snaturarsi, schiacciati dalla pressante espansione urbanistica e dalla gentrificazione.
Come scrive la fotografa Alina Fedorenko – che agli hutong ha dedicato il progetto Symbiosis – dopo le grandi migrazioni dalle campagne alle città degli anni Cinquanta, a Pechino iniziò a mancare spazio vitale:
Over decades people learned to expand their living rooms to the streets and the sense for communities became an important live subsistence for people outside their four walls. While we bearly know our neighbors, Chinese megacities still have places that obtain the community aspect. Places that are on the edge to disappear3.
Camminare oggi per la vecchia Beijing: lo Shijia Hutong Museum
Negli ultimi anni, si è assistito a un tentativo di recupero e valorizzazione di alcuni hutong, in quanto simbolo di Pechino.
Alcuni sono stati devastati dal turismo; altri sono zone residenziali, dove si respira il forte senso di comunità di cui parla Fedorenko.
Sono luoghi agiti, dove – in quanto visitatori – siamo ospiti.
Come sottolinea la giornalista di viaggio Becki Enright, gli hutong appartengono a chi ci vive:
It’s important to remember that hutongs are residential areas, and I felt a territorial atmosphere existed there. Don’t trespass (many doors are open, which lead to courtyards), be discreet and ask permission to take a photo if you have to – don’t treat the locals there as a zoo exhibit.
In some streets, I was even asked to leave (via a waving hand gesture), which I respected. This is a community, a person’s private property and everyday life, meaning you must find a fine line between exploring and being nosy4.
Un bel progetto è quello che – durante il nostro soggiorno a Pechino – abbiamo incontrato nel distretto di Dongcheng, al numero 24 dello Shijia Hutong, dove sorge un piccolo museo, allestito nella vecchia residenza di una nota famiglia di intellettuali.
Che suono faceva un hutong?
Tanti.
Gli hutong sono stati per lungo tempo paesaggi sonori.
L’artista Colin Siyuan Chinnery, i cui nonni abitavano dove oggi c’è il museo, sta cercando di catturare gli antichi suoni di Pechino, prima che scompaiano per sempre.
Gli hutong erano, senza dubbio, il regno dei venditori ambulanti, che si rendevano riconoscibili grazie a una serie di suoni e canti inconfondibili.
Come spiega Chinnery, la parola “Zhenjingrun” evoca in lui il suono di lame, agitate l’una contro l’altra, che annunciava l’arrivo dell’arrotino.
Mentre la parola “Huchengzi” gli riporta alla mente il tintinnare delle campanelle, che avvertiva dell’imminente passaggio dell’erborista.5
In quest’intervista, Chinnery racconta il suo progetto e il suo amore per la città.
Ciao e alla prossima luna piena,
Sara
Se vuoi continuare a leggere afilorefe, ma per qualche motivo il progetto sulla Cina non ti interessa, puoi decidere di non ricevere le mail di Hutong, disiscrivendoti da questa sezione. Se non sai come fare, qui Substack ti spiega i semplici passaggi da seguire.
Così riporta il sito di una casa editrice locale, la Beijing Gujin Publishing
Per approfondire: Humana Lens, Guide To Beijing's Hutongs: History, Map and Itinerary
Becki Enright, Visiting Hutongs in Beijing Respectfully
Intervista a Colin Siyuan Chinnery: Into the sounds of old Beijing
Che bello questo tuo agire i luoghi, in prima persona e poi nel racconto. Splendido progetto quello di Colin Siyuan Chinnery, e ogni volta che incappo in lavori di ricostruzione di paesaggi sonori penso al Mario Ruoppolo del "Postino", e che mi piacerebbe svilupparne uno mio (grazie per avere rimesso in moto le mie rotelline).