Io grido perché così nessuno mi viene vicino, non è bello quando nessuno vi viene vicino ma io grido così non aspetto nessuno vicino.
Stefano Benni, Le Beatrici
Ciao, sono Sara, in cielo ho visto la luna piena, e questa è afilorefe (che arriva con qualche giorno di ritardo perché a scuola ci sono stati gli scrutini e la prova scritta del concorso, e nella vita tante altre cose).
La puntata di oggi comincia con L’urlo di Munch.
Un grido silenzioso?
L’urlo di Munch è un’immagine che ho guardato con attenzione e trasporto tante – anzi, tantissime – volte, sempre dando per scontato che la figura in primo piano stesse, come suggerisce il titolo, gridando.
In questo quadro ho voluto vedere la messa in scena di un urlo silenzioso, figlio di un dolore schiacciante e intollerabile, di quando non c’è più spazio per altra sofferenza, di quando il tormento è così intenso che non si riesce neppure a emettere un suono, neanche spalancando completamente la bocca.
Qualche giorno fa, in un mercatino, ho trovato un mucchietto di libri della collana Carte d’artisti di Abscondita: quelli con le copertine color grigio scuro e la carta che sa d’antico. Ne ho comprati un paio e ho cominciato a sfogliare Frammenti sull’arte, dove – tra le altre cose – Edvard Munch racconta che L’urlo è nato mentre passeggiava sul fiume, al tramonto.
Una sera camminavo
lungo un viottolo in collina
nei pressi di Kristiania –
con due compagni. Era
il periodo in cui la vita
aveva ridotto a brandelli
la mia anima.
Il sole calava – si era
immerso fiammeggiando
sotto l’orizzonte.
Sembrava
una spada infuocata
di sangue che tagliasse
la volta celeste.
Il cielo era di
sangue – sezionato
in strisce di fuoco,
– le pareti rocciose infondevano
un blu profondo
al fiordo – scolorandolo
in azzurro freddo, giallo e
rosso –
Esplodeva
il rosso sanguinante – lungo
il sentiero e il corrimano
– mentre i miei amici assumevano
– un pallore luminescente –
– Ho avvertito
un grande urlo,
ho udito,
realmente, un grande
urlo –
i colori della
natura – mandavano in pezzi
le sue linee
– le linee e i colori
risuonavano vibrando
– queste oscillazioni della vita
non solo costringevano
i miei occhi a oscillare
ma imprimevano altrettante
oscillazioni alle orecchie –
perché io realmente ho udito
quell’urlo –
e poi ho dipinto
il quadro L’urlo.
Insomma, ho scoperto così che quel personaggio con gli occhi che somigliano a pozzi senza fondo, in realtà, sta, prima di tutto, ascoltando un grido; un urlo che arriva da fuori per sopraffarlo e che subito comincia a vibrare anche dentro di lui:
Mi ricordo benissimo, era l’estate del 1893. Una serata piacevole, con il bel tempo, insieme a due amici all’ora del tramonto. […] Cosa mai sarebbe potuto succedere? Il sole stava calando sul fiordo, le nuvole erano color rosso sangue. Improvvisamente, ho sentito un urlo che attraversava la natura. Un grido forte, terribile, acuto, che mi è entrato in testa, come una frustata. D’improvviso l’atmosfera serena si è fatta angosciante, simile a una stretta soffocante: tutti i colori del cielo mi sono sembrati stravolti, irreali, violentissimi. […] Anch’io mi sono messo a gridare, tappandomi le orecchie, e mi sono sentito un pupazzo, fatto solo di occhi e di bocca, senza corpo, senza peso, senza volontà, se non quella di urlare, urlare, urlare…1.
Di questi pupazzi tormentati tratteggiati da Munch ne esistono una cinquantina: due versioni a pastello, una dipinta a olio e una a tempera, a cui si aggiungono una serie di disegni preparatori, bozzetti e litografie.
Per me è particolarmente intensa questa stampa del British Museum.
Forse per via dell’assenza di colore, tutta la mia attenzione va a posarsi sul disegno, puro e semplice, e finalmente riesco a vedere L’urlo con occhi nuovi. Il viso deformato di quella fantasmagorica figura, lo riconosco, è quello di chi non riesce più a sopportare un boato terrificante; ecco le sue mani, che vanno a coprire le orecchie come a proteggerle. Per la prima volta mi soffermo sulle pennellate, che sembrano onde: le onde del mare e del cielo come onde sonore.
Io grido. Tu gridi?
La cosa più affascinante del grido raccontato da Munch è che sembra non essersi mai fermato.
Dalle citazioni nell’arte e nei film di culto, fino ad arrivare all’emoji 😱, e all’oggettistica più kitsch di cui siamo capaci, esistono parecchie urla che hanno arricchito la nostra cultura popolare negli ultimi cinquant’anni.






Anche la storia del furto di una delle versioni dell’Urlo è la storia di una nuova vita di quel grido. Nel 1994, mentre la città di Oslo è distratta dalle Olimpiadi, L’urlo a tempera della Nasjonalgalleriet di Oslo viene rubata in 50 secondi; in cambio, i ladri lasciano una cartolina con scritto: "Grazie mille per la scarsa sicurezza!". Panico; imbarazzo. Interviene persino Scotland Yard. A un certo punto riescono ad arrestare un uomo, Pål Enger, che confessa di essere entrato nel museo da una finestra, dopo aver appoggiato al muro la sua scala a pioli. Scontata la pena e uscito di prigione, il 22 agosto 2004, Pål si traveste da pompiere e ruba un’altra versione del suo quadro preferito. Nuovamente condannato, in galera comincia a dipingere e nel 2011 organizza la sua prima mostra personale, ispirata, ovviamente, a Edvard Munch.
Quel grido fa vibrare dal 1893 il nostro immaginario e dà voce al nostro senso di precarietà e di angoscia, di fronte alla solitudine, al dolore, alla frustrazione e all’oppressione che a volte il mondo ci rovescia addosso.
Qualche giorno fa, proprio mentre scrivevo questa puntata (che belle le sincronicità!), nella sua newsletter
, dopo aver elencato una buonissima serie di motivi per cui mettersi a gridare, scriveva:L’urlo di Munch, insomma, è nato dalle più profonde viscere dell’intimità di Edvard, ma ormai da tempo ci appartiene, perché si è fatto simbolo della disperazione e dell’alienazione che esplodono, spesso e volentieri, quando cerchiamo di osservare e di vivere la nostra contemporaneità.
In tutti i momenti in cui ci riduciamo alla sola e unica volontà di urlare, urlare e urlare, quel grido risuona e diventa nostro.
Io urlo spesso ultimamente. E voi? A volte mi sembra di perdere le speranze di fronte a questo presente terrificante. Ma Munch non ci ha lasciato solamente il suo grido. Ci ha detto anche cosa fare dell’urlo che sentiamo fuori e dentro di noi:
ho capito che dovevo gridare attraverso la pittura, e allora ho dipinto le nuvole come se fossero cariche di sangue, ho fatto urlare i colori2.
Ogni volta che ascoltiamo il grido del mondo per poi farlo nostro, possiamo trasformarlo in un messaggio, in una catena infinita di rimandi e connessioni, in cui smettiamo di essere soli. Da qualche giorno, per me, L’urlo di Munch è diventato un invito. A dipingere, parlare, scrivere, resistere, non fermarci.
A presto,
Sara
Dal diario di Edvard Munch.
Citato in: 4 versioni, 2 furti e un’asta miliardaria. L’Urlo di Munch Emanuela Mazzucchetti, in La ricerca.
Resistere all'Urlo assordante del Tutto e alla
condanna personale di sentire
l'infinito straziante terrore, l'insopportabile e lacerante angoscia, l'immenso senso di disperazione e di terribile impotenza, l'insostenibile profondo dolore, la tragica pena e la sconvolgente presa di coscienza dell'inesorabile fine e della morte.
Questo sì che è un cambio di prospettiva: l'urlo che viene da fuori, un boato assordante che lo spinge a urlare, le onde del mare e del cielo come "onde sonore":
Grazie della bellissima scoperta!