Afilorefe #34: Fiori di fuoco
Un viaggio tra le pagine di "Fuochi d'artificio": una raccolta di racconti di Angela Carter
Ciao, sono Sara, oggi c’è la luna piena e questa è afilorefe.
Per inaugurare il 2025 e la nuova stagione del gruppo di lettura “Per filo e per segno”, avevo scelto Fuochi d’artificio di Angela Carter (Marcos y Marcos, traduzione di Sara Caraffini).
Oggi facciamo un esperimento. Partiamo dagli incipit raccolti in questo libro per esplorare una forma di narrazione che amo moltissimo: il racconto.
Prima di cominciare, due rapide informazioni di servizio:
1. Se vi piace l’idea di leggere insieme a noi, tra marzo e aprile sarà la volta del romanzo Lucilla, di Annet Schaap. Il gruppo di lettura funziona così: ogni due mesi un libro diverso e una puntata di afilorefe a tema. Commenti, messaggi o mail per chiacchierare strada facendo sono sempre graditissimi.
2. Ho anche creato un canale Telegram dove condividere “al volo” letture in corso, link interessanti e altre cose così. Vediamo un po’ come andrà… Per partecipare, da questa parte.
Nella puntata di oggi:
Esisteva solo il meraviglioso
Fiori di fuoco
Qui siamo in alto sugli acrocori
Un clima con abbastanza angoscia e isteria da soddisfarmi
Come se, anche se, perché
Esisteva solo il meraviglioso
All’interno del padiglione a strisce rosa del Professore Asiatico esisteva solo il meraviglioso e non c’era posto per la luce del sole.
Così comincia Gli amori di Lady Purple e quindi il libro Fireworks: Nine Profane Pieces (1974).
Angela Carter ce lo dice subito: tra queste pagine non c’è spazio per la luce del sole, ma solo per un perpetuo senso di estraneità, disagio, disgusto, incredulità.
Piccoli momenti di magia e grandi stralci di quotidianità si raccolgono e si sommano per dirci qualcosa di noi, come individui e come società.
Fiori di fuoco
Fuochi d’artificio nasce dall’esperienza di Carter in Giappone. Dopo aver vinto il Somerset Maugham Award per il romanzo Several Perceptions, usò il premio in denaro per allontanarsi dal suo matrimonio e dalla vita in Inghilterra, scegliendo Tokyo come meta per un’intensa esplorazione artistica e personale. In questa città visse per tre anni, tra il 1969 e il 1971.
Nel racconto che chiude la raccolta, Carter scrive:
In questa lingua i fuochi d’artificio sono chiamati hannabi, che significa “fiori di fuoco”.
I suoi racconti sono fiori di fuoco. Esplosioni improvvise e fugaci, che si mettono in mostra e chiedono a gran voce anche l’attenzione di chi sta passando di lì per caso, con i loro boati e la loro estemporaneità: “Ehi, guardami!" dicono “So illuminare il mondo. E quando, per un istante, l’avrai visto dipinto di verde, non lo guarderai mai più come prima: te lo prometto”.
I racconti, quelli belli, sono ritagli, frammenti che contengono cose che cercavamo da tanto tempo e altre che neppure sapevamo esistessero. Prendono una paura, un silenzio, un amore – in ogni caso sempre una verità – e la attraversano in profondità, isolandola dal flusso del reale.
E così fanno luce su qualcosa che ci rende umani; ci colpiscono con precisione e forza, perché l’ordinarietà e la magia si mescolino. Nei racconti possiamo osservare il caos, sentire che ne facciamo parte e cogliere in qualche misura le leggi-non-leggi che lo governano.
Non per niente, Julio Cortázar paragona il racconto a una fotografia e anche a una vittoria per knock-out. Il colpo deve disorientare chi legge e aprire una finestra su tutto ciò che esiste:
Un racconto è significativo quando spezza i propri confini con quell’esplosione di energia spirituale che illumina bruscamente qualcosa che va molto oltre il piccolo e talvolta miserabile aneddoto che narra.1
E in effetti, partendo da Edgar Allan Poe, e passando per Raymond Carver, Anton Čechov, Katherine Mansfield e Virginia Woolf, spesso chi scrive racconti parla di una grande intensità concentrata in un singolo momento cruciale, in cui la vita sembra fermarsi.
Qui siamo in alto sugli acrocori
Così comincia La bellissima figlia del boia, il mio preferito (insieme a Un souvenir del Giappone) dell’intera raccolta.
In un certo senso ancora più precisa e al tempo stesso vaga è la dimensione spaziale del racconto Il sorriso dell’inverno:
Dal momento che qui non ci sono gabbiani, l’unico rumore è la risonanza del mare.
Mi inchino di fronte a quei “qui”. Qui dove? Non è dato saperlo. Non ci serve saperlo.
Nel racconto tutto è essenziale; niente è superfluo2.
Un clima con abbastanza angoscia e isteria da soddisfarmi
Una cosa che ho amato tantissimo della raccolta di Carter è che gli incipit sembrano dialogare l’uno con l’altro. Il racconto successivo a quello ambientato su una spiaggia ci fa volare dal mare a una foresta terribilmente lontana dalle distese di acqua salata:
L’intera regione era simile a un vaso abbandonato, colmo di verdi cose viventi; protetti su ogni lato dalle feroci barricate delle montagne, questi incantevoli tratti di foresta erano situati tanto all’interno che gli abitanti credevano che il nome Oceano fosse quello di un uomo di un paese straniero…3
Carter costruisce le atmosfere delle sue narrazioni con una maestria implacabile. In una sorta di determinismo geografico febbricitante, i personaggi sono profondamente influenzati dai luoghi in cui si trovano ad agire. In alcuni casi, sembrano cercare intenzionalmente nuovi spazi dove trasformarsi. Il linguaggio è schietto, scrupoloso, sensoriale.
La protagonista di La carne e lo specchio, nel raccontare la sua storia, comincia così:
Non avevo forse percorso ottomila miglia per trovare un clima con abbastanza angoscia e isteria da soddisfarmi?
Ero tornata a Yokohama quella sera stessa, dopo un soggiorno in Inghilterra, e non c’era nessuno ad accogliermi, anche se l’aspettavo.
Anche il primo personaggio che appare sulla scena di Master cerca di allontanarsi dall’ambiente che lo ha generato, per assecondare la propria vera natura (decisamente sadica, in questo caso):
Il desiderio di seguire la sua vocazione che, come aveva scoperto, era quella di uccidere gli animali, lo portò lontano dai climi temperati, finché, con il tempo, gli insaziabili soli dell’Africa erosero le sue pupille, sbiancarono i suoi capelli e abbronzarono la sua pelle a tal punto che non sembrava più ciò che era stato ma il suo sistematico negativo…
Lo sguardo sui “nuovi mondi” dei personaggi di Carter è spesso e volentieri colonizzatore. Se ne vanno lontano da casa per provare a soddisfare il proprio desiderio di alterità, salvo poi scontrarsi con un senso di estraneità che li turba profondamente. E allora abbandonano ogni moralità, restano intrappolati, o continuano a muoversi nell’altrove e nell’assoluta impossibilità di comunicare e di comprendere.
Come se, anche se, perché
La realtà sembra spesso sfuggire a ogni tentativo di spiegazione lineare. Il presente si condensa in un agglomerato di eventi disordinati e disorientanti.
L’incertezza è ovunque. La vita è fatta di tanti “come se”, “anche se”, “perché”. E quei perché spesso non bastano, non spiegano, non significano abbastanza. Come nelle prime righe della penultima storia del libro, Elegia per un freelance:
Ti ricordo chiaramente, come se tu fossi morto ieri, anche se non penso spesso a te perché di solito sono troppo occupata.
I racconti ci permettono di fare i conti con l’esistenza e con il disordine, senza fronzoli e senza maschere.
Ci obbligano a uno sforzo interpretativo che non trova necessariamente una soluzione. Nei racconti non c’è tutto; anzi, troviamo pochissimo: sono bagliori, rispetto alla complessità dell’esperienza umana. Eppure ce la restituiscono.
Come ha scritto Paolo Cognetti, citando Grace Paley:
Il racconto non è solo una narrazione breve, è una narrazione incompleta. Comincia dopo che qualcosa è già accaduto, finisce quando qualcos’altro deve ancora accadere: lascia fuori un bel pezzo della storia, e certe volte quello che resta fuori è perfino più importante di quello che c’è dentro. Il racconto, diceva Grace Paley, è un punto di domanda4.
Lasciare traccia: piccolo laboratorio di autonarrazione
Racconta in poche righe un frammento della tua quotidianità
Sfoglia gli incipit dei libri che hai attorno a te e cerca una connessione tra loro
Scrivi nei commenti il titolo di un racconto che hai letto e che risuona dentro di te
Ciao e a presto,
Sara
Così scrive Julio Cortázar in Algunos aspectos del cuento. Il knock-out, nel pugilato, è l’azione di abbattere un avversario senza che questi riesca a rialzarsi entro dieci secondi, mettendolo quindi «fuori combattimento». Si abbrevia comunemente in K.O.
Citando Anton Čechov: “Se nella storia compare una pistola, questa prima o poi sparerà.”.
Il titolo del racconto è Addentrandosi nel cuore della foresta.
Paolo Cognetti, “Per Esmé, con amore e squallore: Quelle bellissime finestre”, in minima&moralia.
Miei ricordi la comedia del arte 👌
Poi voglio ringraziarti per la citazione di Cognetti/Paley che scriverò a lettere di fuoco sul frontespizio del mio libro immaginario. Perché, quando trovo il coraggio di dare un mio racconto da leggere a qualcuno, in nove casi su dieci mi dicono: "Ma vorrei sapere come va avanti... e cosa è successo prima..." Allora è chiaro che *io* non sono riuscita a metterli KO ma anche *loro* però insomma...!
Poi avrei anche tante altre cose da dire però mi fermo qui. Grazie.